L’intelligenza emotiva è una soft skill di cui non si parla mai abbastanza. Anzi, non parliamone proprio: mettiamola in pratica.
Mi preparo, esco di casa e arrivo sotto la sede del colloquio una mezz’oretta prima. Entro in un caffè e aspetto che arrivi l’orario stabilito: non vorrei presentarmi in anticipo e tradire la mia ansia.
Tolgo il pigiama, prendo un caffè in sala da pranzo e, aspettando di accedere alla stanza virtuale con la password arrivata via email, fisso il CV al muro di fronte a me per averlo sempre sott’occhio.
Entro nell’ufficio dell’azienda e mi guardo attorno per capire che aria tiri: com’è arredata? Qual è l’età dei colleghi? Starò in una stanza o in un open space? Il responsabile della selezione delle risorse umane mi viene incontro: dal suo passo, dalla stretta di mano e dall’ampiezza del suo sorriso capisco quali fiches posso giocare.
Busso alla porta della “stanza” digitale e vedo lo schermo dividersi in due box: a destra l’esaminatore e a sinistra il mio viso che è sbiancato all’improvviso perché mi rendo conto solo ora che il quadro alle mie spalle pende pericolosamente da una parte. La luce arriva da una finestra laterale e ho mezzo volto illuminato e l’altro al buio. Nel corso del colloquio mantengo la concentrazione con difficoltà; “cosa preparo per pranzo?” è l’unica idea che riesco a visualizzare…
Molti di noi si saranno riconosciuti in almeno una di queste situazioni: se prima dell’isolamento sociale il colloquio in presenza rappresentava la norma, adesso quello da remoto è diventato la regola. E non ci resta che imparare a usare questo nuovo strumento. Come mostrare la propria determinazione attraverso uno schermo che emana luce blu? E per le aziende: come posso conoscere il nuovo candidato al di là delle competenze nel CV?
Per ovviare a queste difficoltà possiamo aiutarci facendo pratica con una soft skill che, utile nella comunicazione in presenza, si rivela ancor più preziosa quando fra noi e l’interlocutore si pone un medium digitale: l’intelligenza emotiva.
Questa abilità non consiste, come si potrebbe pensare, nell’esprimersi con veemenza e fingere di essere molto sensibili. In realtà l’intelligenza emotiva è la capacità di percepire le emozioni – proprie e altrui – non per manipolare l’interlocutore, bensì per immedesimarsi nel suo punto di vista e praticare l’ascolto attivo.
Nel corso del colloquio si potrebbe:
- Far presente se emergono punti poco chiari e chiedere delucidazioni in merito;
- Porre domande per capire cosa l’azienda stia cercando;
- Tenere a mente che le proprie esperienze acquisiscono maggior valore se si è capaci di raccontare in quali consapevolezze si sono tradotte.
Nel caso del colloquio online il candidato si può preparare a rispondere ad eventuali domande sull’ambiente che lo circonda, per esempio sul significato di un quadro alle sue spalle. Per questo motivo può considerare l’ipotesi di allestire un piccolo “set” in cui inserire oggetti ricchi di significato da utilizzare come sponda per parlare di sé, come una fotografia o un poster con una citazione, prestando tuttavia attenzione a non mostrarsi artefatto e posticcio.
Affrontiamo dunque il colloquio in modo sereno; spesso sono proprio l’imprevisto e la casualità a far emergere il nostro lato più umano.
Infine, nel caso dovessimo incontrare qualche intoppo, ammettiamolo apertamente e attiviamoci per affrontarlo: meglio esternare qualsiasi difficoltà – per esempio che si tratta del nostro primo colloquio da remoto o che nella stanza accanto c’è un cane che abbaia – anziché esserne vittima. Anzi, alleniamoci a cogliere queste occasioni per rompere il ghiaccio e fare un po’ di ironia.
Tutto chiaro? Lo ammetto: è la prima volta che scrivo un articolo sull’intelligenza emotiva.
Alice Palombarani